«Il consulente tecnico, prima di provvedere al deposito della relazione, tenti, ove possibile, la conciliazione delle parti». Spesso i Magistrati, con questa frase, affidano al consulente il compito di tentare di conciliare la lite, inserendo la richiesta nel quesito tecnico. Viene così sollecitato l’esperimento del tentativo di conciliazione, affinché le parti in giudizio, possano considerare una strada diversa per arrivare a un’intesa e, quindi, chiudere la lite.

A differenza di altre procedure a norma di legge, la conciliazione affidata ai CTU si svolge sempre a processo già iniziato o a seguito di un ricorso, superando in alcuni ambiti le limitazioni normative.

Il ruolo del consulente tecnico conciliatore si sta sempre più affermando da quando nel nostro ordinamento, trovano spazio, strumenti alternativi per risolvere le controversie: dall’arbitrato alla mediazione, alla negoziazione assistita.

Sono, quindi, i Giudici ad affidare ai consulenti l’incarico di tentare di comporre i conflitti, e la normativa che riconosce il potere conciliativo del CTU si riscontra, in particolare, nell’articolo 696-bis del Codice di procedura civile (in vigore dal 1° marzo 2006), intitolato «Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite». In esso si attribuisce al CTU, per la prima volta in modo così definito, il ruolo di conciliatore: una funzione che per anni i consulenti hanno svolto solo di fatto.

La norma, introdotta con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso, prevede che «il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti». Ovvero, propone uno strumento con un ampio spettro applicativo, che va, ad esempio, dai contratti di natura immobiliare al risarcimento del danno in materia di responsabilità professionale. Si tratta, comunque, di una conciliazione di natura più aggiudicativa che di facilitazione, come se si attribuisse al consulente un ruolo dirimente e di ricerca dell’intesa.

All’interno del processo di cognizione, il ruolo di conciliatore del CTU è previsto, invece, solo limitatamente agli incarichi in materia di esame di documenti contabili e registri. A disciplinare questa funzione è l’articolo 198 del Codice di procedura civile, che dispone che «quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può conferirne incarico a un consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti».

Nei casi disciplinati dagli articoli 696-bis e 198 del Codice di procedura civile, l’accordo deve essere verbalizzato e sottoscritto dal CTU e il giudice gli attribuisce con decreto, efficacia di titolo esecutivo. Per le altre ipotesi di conciliazione, non potendo comunque superare le limitazioni fissate dalle norme, l’eventuale intesa ha solo valore di contratto negoziato tra le parti.

Il compito del Consulente Tecnico di Ufficio muove i suoi passi dal considerare la funzione conciliativa come parte sostanziale del proprio incarico, alla quale va dedicato tempo e attenzioni, in considerazione della complessità della funzione stessa. Tentare, infatti, una conciliazione tra le parti, già impegnate in una causa, è diverso dal farlo tra coloro che sono ancora liberi da questo vincolo.

Il primo approccio risente fortemente delle dinamiche conflittuali tipiche delle procedure giudiziarie, per cui risulta essere molto delicata la fase della comunicazione. Il CTU deve avere come obiettivo primario, tutt’altro che scontato, quello di far passare le parti dall’“ordine imposto” a quello “negoziato”. Ovvero, trasformare il primo, in cui le parti si confrontano con atteggiamento competitivo e affidano la decisione a un terzo, che sostituisce la volontà delle parti e che basa le sue scelte sulle norme, nel secondo, di ordine negoziato, in cui le parti lavorano insieme con atteggiamento cooperativo, cercando in piena autonomia, grazie al potere dispositivo che conservano, una soluzione basata sugli interessi reciproci piuttosto che sui diritti.

Ciò comporta, inevitabilmente, che gli approcci siano totalmente diversi: si tratta di delineare per le parti, regole comportamentali per il futuro, piuttosto che stabilire e decidere su condotte già tenute nel passato. L’intervento del consulente riduce i rischi dell’aggravamento di spese di procedura, poiché, offrendo lo spunto per una definizione negoziale della controversia si evita alle parti di promuovere un processo di cognizione lungo e costoso.

Il ruolo così assunto dal CTU, da una parte va nella direzione di configurare il consulente come un vero e proprio conciliatore, che assiste le parti in lite facilitandone la comunicazione e facendone emergere gli interessi che sono alla base del contenzioso per giungere a un accordo per loro soddisfacente; da un’altra parte, sottintende che l’esperto, per la concreta riuscita del tentativo, debba possedere le adeguate conoscenze e competenze nella conduzione e nella gestione di una procedura di conciliazione.

Non si può assolutamente tralasciare la considerazione, che alle eventuali qualità e capacità personali del singolo, la riuscita dell’esperimento conciliativo è sempre demandata alla buona volontà di tutti.

 

 

Il CTU conciliatore fra le parti.
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